Vi è mai capitato nella vita di essere andati privatamente da uno specialista medico per richiedere una consulenza di un’ora e non aver pagato? È sconcertante vedere come da qualche anno a questa parte ci siano molti colleghi psicologi e psicoterapeuti che adottano la politica del primo colloquio gratuito.
Ma com’è nata questa politica se non partendo da una svalutazione che il professionista stesso fa del proprio lavoro e da una richiesta sottilmente deduttiva di attrarre potenziali pazienti? In questo modo il terapeuta perderebbe quella neutralità che contraddistingue la sua figura e il compenso crea quel necessario distacco utile ai fini della relazione che sin dal primo colloquio si sta avviando tra il terapeuta e il paziente. Nella gratuità il terapeuta rischia di essere confuso con altre figure ugualmente importanti socialmente come il sacerdote o un caro amico ma che rappresentano altro in colui che cerca un dialogo interiore di tipo diverso.
In questo modo un incontro gratuito, rischierebbe di essere inconsciamente squalificato e ridotto ad una chiacchierata amichevole facilitando ed aumentando fortemente le resistenze alla cura che comunemente la persona può avere nel momento in cui decide di intraprendere un percorso di psicoterapia.
Oppure in molti casi l’assenza del pagamento può essere un ostacolo al lavoro psicologico che può portare a considerare il terapeuta ed il lavoro psicologico svolto “di poco o scarso valore” o a pensare che in fondo il tempo del professionista in fondo non valga molto o addirittura non valga per nulla; il pagamento infatti è parte integrante del lavoro terapeutico perché ci svela quanto una persona possa essere realmente motivata e disposta ad investire per la propria salute psichica e a farsi realmente aiutare.

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